martedì 30 ottobre 2012

NEW RELEASE: honeybird & the birdies – You should reproduce


La storia di questo album comincia con una visita ginecologica. La cantante e polistrumentista italo-americana Monique “honeybird” Mizrahi si reca dalla propria ginecologa per una visita di routine. Alla fine del controllo la dottoressa le consiglia caldamente “You should reproduce!”. L’esortazione del medico e l’idea che ogni donna “debba” riprodursi soltanto perché “in grado di” riprodursi le danno l’idea per il brano manifesto dell’album dal titolo omonimo. La storia continua, ma è piena di elementi, e ci si potrebbe perdere.
Monique, assieme agli altri honeybird Paola “p-birdie” Mirabella (batteria, percussioni e cori) e Federico “walkietalkiebird” Camici (basso), contattano, per seguire le registrazioni e la produzione dell’album, Enrico Gabrielli (Calibro 35, Mariposa, Der Maurer…) che accetta con entusiasmo. La costruzione dell’album passa attraverso un’ulteriore fase fondamentale, nella quale glihoneybird & the birdies chiedono sostegno alla rete per la realizzazione del disco. Nasce il progetto “You should coproduce”: tramite il servizio Kickstarter rimangono affascinate dagli honeybird 150 persone che, coi loro 5846 euro, diventano a tutti gli effetti coproduttori esecutivi dell’album. Dopo una lunga fase di elaborazione, il gruppo si insedia per una settimana all’Obst und Gemüse Studio che un altro Mariposa, Rocco Marchi, gestisce assieme alla compagna Francesca Baccolini (Hobocombo).
Il magma guizzante prodotto durante questa session è stato riversato nelle sapienti mani diTommaso Colliva (Calibro 35, Afterhours, Muse, Mauro Pagani…) che ha forgiato definitivamente “You Should Reproduce”.
All’interno di “You Should Reproduce” sono presenti i riferimenti più vari e incredibili: la teoria della “terra cava” di Edmund Halley del 1692 (in “To the Earth’s Core”), la danza ancestrale malese “Mak yong” bandita dal governo islamico dal 1991 (sempre in “To the Earth’s Core”), l’East Village di New York e i suoi rapporti con una filastrocca inventata per imparare l’inglese (in “East Village”), il quartiere romano di Tor de’ Schiavi (che diventa “Tower of Slaves” nel bizzarro rap “Where d’ya live yo?”), le spiagge del sud della Californiaelencate in “Swimming Underwater”, un viaggio immaginato tra il Mali e il Burkina Fasoverso la sua capitale Ouagadougou e poi fino a Dédougou (“Canopy Dream”), i genocidiperpetrati ai danni dei buddisti in Cambogia e degli armeni da parte dell’impero ottomano tra il 1915 e il 1916 (in “Perejil”). Il tutto condotto attraverso mix linguistici che portano gli honeybird a cantare in inglese, italiano, dialetto catanese e tedesco.
Il disco è un vortice vivo, effervescente e colorato, una musica acutamente stratificata ed elastica: raffinati intrecci polivocali, plastiche e decise linee di basso, un drumming articolato ed energico, luminosi contrappunti di corde (charango, ukulele, chitarra elettrica), tensioni psichedeliche tra il pastorale (“Canopy Dream”) e il viaggio con la mescalina che finisce male (“You Should Reproduce”), poliritmi di chiara provenienza africana mescolati con entusiasmo ad energiche sonorità sudamericane, influenze caraibiche, indie-rock di matrice statunitense e attitudine punk.
Monique è stata a lungo in Bolivia ed ha viaggiato molto attraverso il Sud America: durante questi viaggi ha conosciuto ed approfondito l’uso del charango, strumento popolare boliviano a 10 corde, le cui sonorità e tecniche esecutive hanno influenzato pesantemente la costruzione dell’album.
Degno completamento di “You Should Reproduce” è la sua resa live: nei loro concerti tutti glihoneybird cantano e ballano, sul palco si mescolano lingue e dialetti, si improvvisano coreografie folli e disorientanti. É uno spettacolo coinvolgente, come una piccola orchestra, capace di dar vita ad un grandioso baccanale, riempendo di fisicità e colori il palcoscenico.

Maggiori informazioni:
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www.honeybird.net

NEW RELEASE: Confusional Quartet - Confusional Quartet

Dopo trent’anni di silenzio discografico, esce il nuovo album in studio dei Confusional QuartetBologna, Italia, 1977: un momento molto caldo della società italiana, ma anche “il” momento per la cultura alternativa e la creatività giovanile italiana. A Bologna nascono band musicali come funghi. E’ la no/new wave bolognese. Tra le tante emerge per originalità e bravura il Confusional Quartet. Senza uso della voce, con la sola musica, il Confusional Quartet realizza dal 1979 al 1981 alcuni album e tanti live, collaborando con l’Italian Records di Oderso Rubini. Giovanissimi, riescono ad usare la musica miscelando l’energia del rock con argomenti fino ad allora lontani dal mondo musicale: il futurismo, il minimalismo, la musica concettuale di John Cage, l’Italia del boom economico degli anni ’60, il design contemporaneo…
Bologna, Italia, 2011: il Confusional Quartet torna in vita. Per qualche motivo il meccanismo che regola il loro fare musica è rimasto intatto dentro di loro. Escono brani nuovi, nuovi progetti, cresce forte la sensazione di un’esperienza unica.Umanamente, perché vissuta da una prospettiva storica trentennale. Musicalmente, perché il nuovo materiale è energico e raccoglie da subito l’entusiasmo di artisti come Bob Rifo AKA The Bloody Beetroots, con il quale scrivono assieme il singolo Futurfunk (Rifo nasceva nel ’77, proprio mentre I CQ si stavano formando), Giulio “Ragno” Favero (Teatro degli Orrori, One Dimensional Man) che mixa l’album. Culturalmente, perché il Confusional Quartet si ritrova davanti un panorama italiano musicale e culturale piuttosto appiattito e inebetito, dove il livello di proposta e ricezione culturale si è abbattuto e dove la “velocità futurista” è stata mal interpretata e disattesa in nome di un progresso sbagliato. Ma il Confusional Quartet di oggi è una nuova band: la musica non più colorata e di plastica, si è fatta più compatta, meno ironica e autoreferenziale dai contrasti più netti. Le foto dei CQ da ragazzini sono in B/N sopra la fontana del Nettuno in Piazza Maggiore a Bologna: le foto dei CQ oggi sono in B/N davanti all’anonima sede bolognese del Grande Oriente d’Italia. Non è più il Confusional Quartet postmoderno vestito da Kenzo delle foto memorabila in internet, ora il suono è più duro, anche se sempre fuori dagli schemi. Basso, batteria, chitarra e tastiere. Non c’è (non c’è mai stato) un cantante e non ci sono testi nè parole. Ci sono idee, tensione.Il territorio dei Confusional Quartet è sempre stato il territorio della “possibilità”. La possibilità di esprimersi comunicando con rigore energia e libertà.Ora Confusional Quartet è anche storia e cultura con cui è possibile confrontarsi.

Maggiori informazioni: www.confusionalquartet.com

NEW RELEASE: TELESPLASH - Motel Paradiso


E’ arrivato il momento: qui la parole d’ordine è divertimento, né più né meno. Di quello estivo e quasi adolescenziale, quando all’orizzonte pare non profilarsi mai nulla che possa destare preoccupazione. Le nuvole non appartengono al mondo dei Telesplash, sebbene ogni tanto le atmosfere tendano a scurirsi. È solo un attimo però, perché “Motel Paradiso”, secondo album della band aretina, è concepito per risollevare l’umore e ridare un senso al termine pop nella sua accezione più pura ed innocente. Un bell’obiettivo, coerente prosecuzione di un cammino iniziato nel 2006, quando Marco Rossi, Ettore Cencini, Guglielmo Calafiore e Salvatore Cauteruccio hanno dato vita alla band. Il debutto risale a tre anni dopo e all’incontro con Forears, label indipendente che crede nei Telesplash e pubblica l’EP “Forever Together”, biglietto da visita fatto di brani in inglese solari e leggeri. Nel 2010 arriva la svolta in italiano e nasce l’esordio sulla lunga distanza “Bar Milano”, prodotto da Daniele Landi (anche patron della label), che raccoglie il plauso della critica per credibilità di un pop dichiaratamente di “provincia”, tra immaginario retrò e sana passione per le proprie radici.
E arriviamo così finalmente al nuovo “Motel Paradiso”, ancora una volta lavoro schietto e capace di intrattenere con leggerezza, a questo giro arricchito da arrangiamenti più complessi e raffinati – grazie anche all’inserimento di una sezione di ottoni, tastiere e percussioni – e baciato da una cura di particolare gusto su cori e seconde voci. Le vibrazioni positive di un brano come l’iniziale “Affogare” portano alla mente le pagine migliori degli Spearhead di Michael Franti (e, perché no, anche qualche eco jovanottiano, un altro che di pop se ne intende), mentre “L’eclissi solare” non fa mistero di citare gli amatissimi Beatles (il riff di chitarra è un omaggio spudorato ai baronetti di Liverpool), maestri assoluti quando si tratta di musica popolare. E se da un lato la scelta di cantare in italiano è un modo sincero ed efficace di ricongiungersi alle proprie radici culturali – non solo quelle eternamente celebrate come il Battisti più frizzante o i primi Baustelle, ma pure gli echi del miglior Sergio Caputo come per esempio proprio nella title track- dall’altro i punti di riferimento restano anche e comunque quelli del pop britannico di ottima fattura (“Solo tuo”). E allora a ben vedere, pezzi come “Senza volere” o la finale “Il Muro” ci riportano alla mente, esclusa la matrice sociale dei testi, certe melodie e soluzioni care agli Housemartins (e al progetto successivo del cantante Paul Heaton, i Beautiful South), o a quelle più umbratili degli scozzesi Belle & Sebastian. Indie pop lo chiamano da quelle parti (pure qui da noi, vedi Perturbazione, un altro nome che potrebbe servire come timido metro di paragone) e i Telesplash sono sulla strada giusta per offrirne una credibile versione personale. Basta un breve soggiorno al Motel Paradiso per rendersene conto.

NEW RELEASE: DE CURTIS - Belli con gusto

Non un altro tiro del Principe travestito da faccendiere occasionale, ma il ricco ritorno del combo veronese che al maestro della commedia deve sicuramente qualcosa oltre al nome: l’eclettismo. Per Tannen Records e a due anni esatti dal loro disco di debutto “Baciami Alfredo”, i De Curtis si ripresentano con un lavoro che sin dal titolo “Belli con gusto” suggerisce il taglio leggero ed ironico. Nonostante un’estetica forte, una grande confidenza nella propria perizia strumentale – che consente al gruppo di tratteggiare scenari di volta in volta atipici, adoperandosi in una ricerca che travalica l’idea stessa di contaminazione – il disco è un divertente crogiolo stilistico al tempo stesso estremo ed equilibrato.
Proprio in questa capacità di muoversi tra alto e basso, tra sacro e profano si coglie lo spirito deciso del gruppo, un’imprendibile saetta lanciata contro i muri del ben-pensare e dell’apparire. I De Curtis fagocitano il ritmo ed i pensieri stereotipati, stringendo alleanze con il rock lisergico, il funk e il soul e riuscendo a riempire di “folklore” anche i passaggi più squisitamente jazzy, cerando nella sintesi strumentale una voce unica, originale. Sono ricchi di pathos i brani, che accennano a riflessioni domenicali con fare drammaticamente cinematico (“Novantesimo Minuto”), si appropriano in maniera scabrosa dei ritmi in levare (“Senza Ombra Di Dub Io”, con un sax leader) e giocano con un’idea di muscoloso rock progressivo (“Gugol Bordello”). Quello che agli esordi era dichiaratamente un manifesto jazz-rock moderno, con la prassi concertistica e la metodologia da studio è ben presto divenuto forum aperto, da aprire ai volti dell’Italia creativa. Con a capo un musicista di consumata esperienza – l’ex Rosolina Mar Bruno Vanessi – il gruppo si appoggia al batterista Riccardo Orlandi (Hell Demonio, The Rituals), al sassofonista Luca Bronzato, al bassista Davide Bronzato (sostituito però dopo le registrazioni dal bassista degli Home Nicola Finezzo) e al pianista/chitarrista Andrea Gastaldello (Mingle). L’album è stato registrato da Fabio Magistrali in presa diretta, senza l’utilizzo di editing alcuno, nell’abitazione di Bruno Vanessi e conta anche sugli interventi di Enrico Zambon (ex Rosolina Mar) alla chitarra acustica in ‘Sacro Cuore’, di Andrea Faccioli (Cabeki) nel preludio a ‘Novantesimo Minuto’ e di Mae Starr voce dei Rollerball (gruppo culto della scena di Portland) nel brano di chiusura “Plastic Islands”, unico pezzo cantato in scaletta. Disco che appassiona e diverte, ricordandoci quasi che la miglior festa ha bisogno di un’organizzazione scientifica.

NEW RELEASE: twoas4 - AUDREY IN PAIN ENGLISH”


Uscito il 28 settembre “Audrey in Pain English”, il disco d’esordio dei twoas4 che vanta la produzione artistica di Paolo Mauri (Afterhours, Massimo Volume, Le luci della centrale elettrica ecc.). Il lavoro della band toscana è un progetto ambizioso ed originale che va oltre il semplice album: il ricco booklet del cd contiene infatti anche una raccolta di appunti e illustrazioni che uniti alle canzoni generano un’unica narrazione. L’intero disco è stato inoltre registrato in presa diretta fino a dare vita ad un “live concept album”.  Nel lavoro della band toscana musica e testi sono pensati come diapositive di emozioni e vissuti, e quindi legati all’idea del flash-up o flash-back: un flash solo abbozzato, con forti contrasti, quasi in “bianco e nero”, che è esattamente come il “neutro” delle immagini dipinte a rappresentare il corredo visivo di ogni pezzo.
Suoni e rumori si fondono, alle melodie si accosta il noise ed al tempo/ritmo si associano dilatazioni, fughe e sviluppi verticali, in un vortice sonoro in cui l’istintività ed un flusso emotivo ed artistico libero sono elementi predominanti.


L’album vede la particolare partecipazione alle voci di Christina.Mary.louise.Lubrani e Luminita.Ilie, che rispettivamente con un’attitudine melodica e malleabile e con una dizione aspra e narrativa fanno da contraltare ai toni più spigolosi e ruvidi dei brani. “Ripensando a quello che scatta in me quando “decido” o “non decido affatto“ di scegliere una nota o la direzione di una melodia, direi che cerco di eseguire ciò che avrei voglia di sentire in quel momento come se qualcun altro dovesse suonare per me – racconta Oscar Corsetti, voce e chitarra della band -. Lo stesso accade per una parola o per le parole che affido alla musica, ciò che domina in quello che compongo è il desiderio di usare “un suono” prima di tutto, non il significato dello stesso: è vero, ogni parola ha un significato, ma prima ancora ha un suo proprio suono che a seconda di come è usato può anche stravolgerne il senso. Poi, se devo pensare a tutto quel che succede durante il processo compositivo e magari a una matrice comune d’origine, posso dire che probabilmente c’è un’attitudine “punk”, se non altro perché tende a forzare la “norma” o le “regole generali” di tutto ciò che è condiviso musicalmente o che forse si ritiene solo “corretto”, e che in questo caso interpreto esclusivamente come una pura formalità.”

Maggiori informazioni: 
www.twoas4.com

MED IN ITALI: L'intervista


a cura di Andrea Colangelo

I Med In Itali, nati nella primavera del 2007, sono composti da Niccolò Maffei, alla chitarra e alla voce, Matteo Bessone, alla batteria e Ludovico Depetris, al sax alto e al basso. Il gruppo inizia a suonare per le strade di Dublino. Dopo aver fatto una vita
da baskers per quasi un mese, tornano in Italia e decidono di iniziare a produrre, pur mantenendo uno spirito e un assetto acustico. Lo scorso settembre è uscito, dopo un importante lavoro in studio, il loro primo album Coltivare Piante Grasse. Li abbiamo incontrati al Loop di Perugia prima della loro esibizione.
A risponderci, il frontman della band Niccolò.


J: Come sono nati i Med in Itali?

Niccolò:  Siamo nati come artisti di strada. Il progetto è nato più per gioco: volevamo andare in Irlanda in vacanza (a Dublino, precisamente) e ci siamo detti: “perché non prendere tre strumenti acustici e metterci per strada a suonare?”  Infatti in Irlanda si è totalmente liberi di suonare per strada, a differenza del resto del Regno Unito, dove è necessario ottenere permessi per farlo.  Abbiamo suonato per  tre settimane; poi, tornati in Italia, abbiamo iniziato a lavorare in studio.

J: Avete notato delle differenze tra il modo di vivere la musica in Irlanda ed il nostro?

NIccolò:  La differenza principale è l’atteggiamento culturale degli Irlandesi nei confronti della musica: vi è in generale una maggiore attenzione nei confronti dell’arte. In tutte le scuole irlandesi è stata istituita un’ora di educazione musicale, cosa che permette di tramandare e proteggere questa forma d’arte.

J:  Dopo cinque anni di attività e dopo un paio di Ep, ecco partorito a settembre (precisamente l’11) Coltivare Piante Grasse, un album raffinato e di grande maturità artistica. Com’è nato e perché avete scelto questo titolo?

Niccolò:  L’album è nato dopo cinque anni di lavoro,  in cui si sono alternati musicisti diversi. Coltivare Piante grasse è il risultato di mille influenze. Il titolo lo abbiamo scelto un po’ per riprendere Piante Grasse (brano del disco) e poi perché ci piaceva associare le piante grasse alle nostre canzoni che crescono, appunto, come le piante grasse senza acqua:  spontaneamente.


J:  Perché vi chiamate Med in Itali?

Niccolò: Eravamo alla ricerca di un nome che non fosse comprensibile né in italiano né in inglese, e credo proprio che ci siamo riusciti! Scherzi a parte, la nostra è una provocazione: esprime il nostro rifiuto nei confronti dei termini anglofoni, indiscriminatamente usati per  esprimere concetti per i quali vi è un valido corrispettivo in italiano. Per esempio: perché sulle etichette dei vestiti italiani c’è scritto “made in Italy” e non “prodotto in Italia”?

J: In questo disco c’è un po’ di tutto: funk, jazz, rock acustico, soul. Insomma, un bel meltin pot.  Ma qual è il genere col quale vi identificate maggiormente?

Niccolò: Per descrivere il nostro genere, abbiamo coniato il termine FROG (che sta per “funky, folk, rock, progressive”); il che è curioso, perché solo dopo ci siamo accorti che, in inglese, frog vuol dire rana. La rana, si sa, è un animale saltellante, caratteristica che rispecchia fedelmente il nostro stile, che salta sempre da un genere all’altro.

J:  I vostri punti di riferimento italiani ed esteri?

Niccolò: Ognuno di noi ha le proprie influenze. Io ascolto molto musica indipendente italiana; gli altri preferiscono il blues, il funkyjazz e il reggae. Questo è uno dei motivi per cui l’album è così variegato.

J: I testi, invece? Chi li scrive?

Niccolò: Quelli li scrivo io. Propongo una canzone molto “grezza”, con chitarra acustica e voce, e poi la sviluppiamo insieme.

J: Citando una vostra canzone, Musicista Precario, cosa significa nell’Italia di oggi vivere di musica? 

Niccolò: Campare di musica oggi è quasi impossibile. Bisogna avere fortuna e perseveranza. Questo di oggi è un sistema pericoloso: la cultura italiana musicale è molto a rischio, molto spesso manca la possibilità di riuscire a fare il secondo disco. Se non riesci ad emergere al primo tentativo, rischi che il sogno finisca.  Sempre meno persone si occupano di musica. La musica è cultura a tutti gli effetti, eppure, anche a livello istituzionale, non riceve agevolazioni significative.

J: Oltre a suonare nei locali e a farvi conoscere in giro, ci sono già altri progetti in cantiere?

Niccolò: Questo nostro primo album è stato registrato in cinque anni - tempi di gestazione molto lunghi. Il prossimo sarà diverso, perché comunque  ci sarà “meno tempo” per farlo. Spero massimo tra un anno. Comunque, per ora pensiamo al tour.

J: Allora in bocca al lupo per tutto!

Niccolò: Crepi!
Un saluto a tutti i lettori di Junks Magazine!

Maggiori informazioni:
www.medinitali.info
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mercoledì 24 ottobre 2012

NEW RELEASE: The Ghetto (There's No Way Out) / Sunk Without The Funk - The Soul Immigrants

Capitanati dall'abile mente di Emrys Baird (noto ai più come recensore della storica rivista Inglese Blues&Soul), arrivano direttamente da Londra The Soul Immigrants, band funk/soul/jazz che con la loro etichetta Dry Rooti Records sfornano il 45 autoprodotto "The Ghetto (There's No Way Out)" / "Sunk Without The Funk". Due lati che catapultano l'ascoltatore nel pieno di una scena di inseguimento da film anni 70, con ritmi incalzanti e una miscela esplosiva di afro-funk, soul, jazz e deep groove. Nell'attesa che venga rivelata la data di uscita di un album intero, vi lasciamo ad ascoltarvi ambedue i lati di questo 7", e che il funk sia con voi!









martedì 23 ottobre 2012

NEW RELEASE: Swelto - Rotta Decollo

E' uscito oggi Rotta Decollo, il nuovo album di Swelto
Il disco è disponibile in freedownload esclusivo per il portale Lacasadelrap a questo link:

http://www.lacasadelrap.com/Article5299.html
 

e in versione stampata (limited edition), acquistabile scrivendo a: swelto@gmail.com

Il nuovo lavoro di Swelto è formato da 18 tracce e contiene i featuring di Negrè, Hyst, Piaga, Manu PHL, The Agronomist, Kenzie Kenzei, Blue Virus, El Domino e Johnny Roy.
Le tracce sono prodotte dallo stesso Swelto e da Piaga, Kenny Ramp (H501), Manu PHL, Dr.Panico, Nevenera e Aka-X.
Mixato da Swelto e masterizzato da Negrè al LUNGHEZZA D'ONDA STUDIO (ROMA).
 
 
 
Ulteriori informazioni:
 
Ecco alcuni video estratti da Rotta Decollo:
 

venerdì 19 ottobre 2012

NEW EVENT: Dorian Concept live @ Biko (MI) - Sabato 27 /10


Well Founded in collaborazione con Circolo Arci Biko presenta

DORIAN CONCEPT
live
(UNICA DATA ITALIANA)
Sabato 27 ottobre dalle 22 @ Biko
Via Ettore Ponti, 40 - Milano
Ingresso 7 - 10 € + tessera arci obbligatoria



Torna l’appuntamento mensile con Well Founded al Circolo Arci Biko. Per questa seconda stagione la serata si sposta dal venerdì al sabato e la prima è in programma sabato 27 ottobre con il live del producer Dorian Concept (Ninja Tune/Affine). Unica data italiana.


Oliver Thomas Johnson, in arte Dorian Concept, sperimenta una fusione di jazz e funk con i ritmi elettronici odierni. E le sue creazioni musicali hanno la dote di sorprendere e spiazzare. Virtuoso del pianoforte, il viennese classe 1984, ha un curriculum di tutto rispetto: nel 2008 partecipa a Red Bull Music Academy, nel 2009 Flying Lotus lo sceglie come tastierista per i suoi live, nel 2010 figura nella raccolta per il ventennale della Ninja TuneNinja Tune XX, e un anno dopo realizza l’EP Her Tears Taste Like Pears sempre per la storica etichetta londinese. Da ormai due anni è ospite fisso dei maggiori festival internazionali, uno su tutti ilSonar

A supporto del live ci sarà il dj set di Mr. Guan (Loud Minority), anche lui da Vienna, oltre a quelli dei resident DNN e Dama, questa volta assistiti dai vinili di Fitness Bitch (WGT).

Fino alle 00.00 ingresso a 7€, dalle 00.00 in poi 10€ (tessera arci obbligatoria)

DORIAN CONCEPT Live (Ninja Tune/Affine) Vienna
MR. GUAN (The Loud Minority) Vienna
DNN (Well Founded)
DAMA (Well Founded)
FITNESS BITCH (We Got Hands)

Maggiori informazioni

lunedì 15 ottobre 2012

THE RUST AND THE FURY: L'intervista


a cura di ANDREA COLANGELO
foto di ULIANA PIRO

The Rust And The Fury sono
una rock band composta da Daniele Rotella (voce e chitarra), Marco Zitoli (basso e voce), Francesco Federici (chitarra e voce), Francesca Lisetto (voce e tastiere) e Andrea Spigarelli (batteria).
 I componenti sono tutti di Perugia ma sembrano arrivare dall’altra parte dell’oceano. Il 24 settembre è uscito il loro primo album: May The Sun Hit Your Eyes (la recensione del disco QUI), che ha riscosso critiche positive e convincenti da parte della critica e degli appassionati del genere. Siamo andati all’Ostello Mario Spagnoli di Perugia, dove è situato lo studio di registrazione della neo-nata etichetta umbra Cura Domestica, per conoscere la band attualmente più figa in circolazione.

Junks: Com’è nato il vostro progetto, o meglio, la vostra seconda vita?

Daniele: I Rust and the Fury, cioè io, Marco (il bassista) e Andrea Ragni (l’ex batterista) suonavamo insieme già dal 2004, ma in seguito smettemmo. Poi, a fine 2011, Marco ed io decidemmo di riprovarci, con del materiale della vecchia produzione, e così abbiamo chiamato Francesco Federici alla chitarra, Francesca  LIsetto alla voce e alle tastiere e Andrea Spigarelli alla batteria. L’intenzione iniziale era quella di cambiare anche il nome, ma alla fine abbiamo deciso di lasciare questo.


Junks:
A proposito, perché vi chiamate The Rust and the Fury? 

Daniele: I
l nome è un omaggio a Neil Young e a un suo brano: “Hey Hey My My” (“It's better to burn out 'cause rust never sleeps”), ed in parte a Johnny Rotten dei Sex Pistols, in particolare al film sui Sex Pistols (“The Filth And The Fury”). Ci piaceva molto l’idea di prendere spunto da questi due personaggi che stimiamo tantissimo.

Junks: Infatti questo vostro album è molto internazionale. Le influenze più rilevanti sono appunto Neil Young, ma anche Arcade Fire, Wilco, Fleet Foxes. Di italiano non c’è proprio niente? Nessuna influenza? 

Daniele: Musicalmente parlando, no. Tutto da oltreoceano. Però, alla fine, un po’ tutti siamo influenzati strumentalmente da musicisti italiani. Ognuno ha i suoi punti di riferimento in Italia: noi, ad esempio, se proprio dobbiamo fare dei nomi diciamo Pfm o Afterhours con album tipo Hai Paura del Buio, il quale, a sua volta, ha poche sonorità tipiche italiane. Mettiamola così: gli artisti italiani cui ci ispiriamo a loro volta si ispirano a musicisti stranieri.

Junks: In questo vostro primo lavoro, la ricerca e la qualità del suono sono la cosa che più emerge al primo ascolto. Tecnicamente com’è è nato May the Sun hit Your Eyes?

Daniele: Ci abbiamo messo tantissimo impegno: siamo entrati in sala registrazione e siamo diventati pazzi! (ride). Tecnicamente parlando, il disco lo abbiamo registrato interamente dal vivo. Gli arrangiamenti sono nati in maniera istintiva.
Poi, fortunatamente, chi ci ha prodotto, ovvero Cura Domestica e La Fame dischi, in
 
particolare nella persona di Michele Maraglino, ci hanno sostenuto e fatto lavorare in totale libertà. Anzi, approfitto per ringraziarli.

Junks: Come nascono i testi dei Rust and Fury ?

Daniele:  Praticamente li scriviamo e li sviluppiamo insieme. Molte volte sono nati da fatti realmente accaduti. Siamo molto band in questo, non c’è solo una testa: ad esempio, anche per quanto riguarda i cori, cerchiamo di cantare tutti insieme. Siamo molto “comunisti” in questo (ride).

Junks: La scelta di inserire delle tastiere e una voce femminile, a mio parere, è stata una mossa vincente. A chi è venuta in mente? 


Daniele: Conoscevamo Francesca e le abbiamo chiesto di suonare. Il suo arrivo è stato fondamentale: provenendo dalla musica classica, ha apportato melodia nella band, forse senza di lei saremmo rimasti dei “grungettoni” (ride).

Junks: La scorsa estate avete vinto la fase regionale (Umbria) dell’Italia Wave, che quest’anno tornava a casa ad Arezzo. Che esperienza è stata?


Daniele: Una bellissima esperienza. Gratificante e di prova allo stesso tempo. Ci è venuta la “strizza al culo”. Eravamo tesi perché per la prima volta c’era una giuria, qualcuno che ci giudicava. Poi da lì è successo tutto in fretta: l’uscita dell’album, interviste e recensioni molto positive su Rockit, il Mucchio ed altre riviste, compresa la vostra. Ancora non abbiamo il tempo di fermarci e realizzare.

Junks: Ma perché avete deciso solo ora di creare un gruppo così figo?

Daniele: Aspettavamo Andrea (il batterista), era troppo piccolo (ride). Comunque penso che ora siamo maturi musicalmente. Forse se l’avessimo fatto prima non sarebbe uscito così bene. Dopo tanti anni, finalmente abbiamo imparato a suonare.

Junks: Oltre a girare locali per far conoscere la vostra musica, avete già in mente qualcosa per il futuro? Progetti in cantiere?

Daniele: Per ora vogliamo solo suonare, suonare e suonare. Comunque non ti nascondo che abbiamo deciso i registrare un secondo lavoro massimo tra un anno.

Junks: Allora aspetteremo con ansia! Intanto, un grosso in bocca al lupo per tutto e invito i lettori di Junks Magazine a seguirvi. Grazie ancora per la disponibilità !

TRAF: Crep! Un saluto a tutti i lettori di Junks Magazine!

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venerdì 12 ottobre 2012

INDUBSTRY: Intervista esclusiva!






Grazie al "Settembre In Festa" organizzato dall’Associazione pugliese Infestazioni Soniche, abbiamo avuto modo di ascoltare e poi conoscere il collettivo Indubstry. Lo spettacolo che propongono è un percorso musicale in crescendo, tra sonorità tutte rigorosamente in levare: dai lenti bpm del roots reggae e del dub, gli Indubstry arrivano a salutare il pubblico sulle ritmiche frenetiche ed i suoni elettronici della drum’n’bass, grazie ad un gruppo che si avvale di cinque validi musicisti. Siamo rimasti molto colpiti dagli Indubstry e, pertanto, vi riportiamo la nostra chiacchierata con il frontman del gruppo 
Filippo D’Avanzo.


a cura di FILIPPO D'ERRICO
e la collaborazione di GRAZIANO KOHLSTETTER 
e ANTONELLO PARIGINO


Photo: Mey-Lin Aellen





Photo: Mey-Lin Aellen



Junks - Quando nasce il progetto Indubstry e in cosa vi unisce?

Filippo - Indubstry è un progetto che nasce nel 2010; prima di questa data, eravamo conosciuti come Dub All Sense. Abbiamo cominciato in Campania, con una serie di live grazie ai quali abbiamo potuto dare sfogo a tutta la nostra carica. Ovviamente la chiave di lettura del nostro progetto è il fatto di esser tutti accomunati dall’amore per la musica reggae, roots e dub con una forte propensione per l’elettronica. Penso abbiate potuto già constatarlo da soli! (ride).

Junks - Siamo rimasti incantati dal vostro live. Quali sono le alchimie che permettono alla vostra musica di entrare nel cuore delle persone?


Photo: Mey-Lin Aellen
Filippo - Innanzitutto vorrei dire che il nostro background musicale ci vede tutti impegnati nella musica da molto tempo: questo ci permette di avere una grande sicurezza sul palco, cosa che il pubblico avverte immediatamente. Inoltre, nonostante la nostra formazione sia Dub/Roots, non abbiamo un Dub master nel gruppo, questo perchè ci divertiamo in presa diretta, direttamente attraverso i nostri strumenti a creare quegli effetti caratteristici di questo genere da noi tanto amato.


Junks - Ci piacerebbe ora parlare del vostro prossimo album Push. Quanto tempo vi è costato? E quali sono i vostri propositi a riguardo?

Filippo - Per quel che riguarda Push, c’è da dire che è pronto ormai da febbraio/marzo, attualmente lo stiamo diffondendo unicamente live e il riscontro che abbiamo è più che positivo. Il disco racchiude tutta l’esperienza maturata in questi anni e, pertanto, ne siamo davvero entusiasti, non vediamo davvero l’ora che arrivi il momento del lancio ufficiale, che è previsto per la fine di ottobre. Ad anticiparlo, però, ci sarà un singolo estratto, con videoclip annesso, disponibile già da metà ottobre. Tra le collaborazioni possiamo svelarvi quella con Marcello Coleman degli Almamegretta, gruppo fondamentale nel panorama reggae underground campano e non solo.

Junks - Parlando di collaborazioni, nel disco sappiamo che c’è anche un altro importante nome del panorama dub nazionale, che ha avuto il compito di chiudere alla perfezione il vostro lavoro. Parliamo ovviamente del grande Madaski. Raccontateci un po’ questa vostra esperienza.

Photo: Mey-Lin Aellen
Filippo - Per quanto riguarda il lavoro di missaggio con Madaski, abbiamo avuto l’opportunità di raggiungerlo a Pinerolo, nell’ormai noto Dub the Demon Studio. È una persona affabilissima ed elastica, con la quale avevo già lavorato in passato e che ha saputo cogliere quello che principalmente è il nostro carattere per imprimerlo definitivamente nel lavoro di chiusura di questo disco, assieme al fonico Mauro Tavella. Abbiamo trascorso 10 giorni lì con loro, passati davvero troppo in fretta!
Vorremmo inoltre precisare che il lavoro di registrazione è avvenuto allo Scere Aram Studio di Luigi Esposito, che salutiamo calorosamente.

Junks - Siamo al termine della nostra intervista. Prima di lasciarci, ci farebbe piacere conoscere i vostri prossimi obiettivi ed i vostri impegni come Indubstry.

Filippo - La nostra prossima data sarà a Nola, in Campania... E sì! Giocheremo in casa! (ride). Ma poi saliremo su nel milanese per una serie di date in giro per il nord, con un unico grande proposito: quello di girare il più possibile per far conoscere la nostra energia e la nostra musica. Per questo, intanto, ci sentiamo di salutare calorosamente Vieste e la Puglia intera, che dimostra sempre più quanto il reggae abbia affondato le sue radici in essa, al pari dei vostri ulivi secolari. Grazie per il vostro calore



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mercoledì 10 ottobre 2012

OUT NOW: Junks Magazine Ottobre / Novembre 2012!!!

Siamo lieti di annunciarvi l'uscita del nuovo numero di Junks Magazine (ottobre/novembre 2012)!!!
ALL'INTERNO TROVERETE:
un'intervista alla nuova promessa del cantautorato italiano COLAPESCE ed interessanti chiacchierate con il duo hip-hop CRAZEOLOGY, e con i leggendari INNER CIRCLE ma non finisce qui! 
Junks ti regala una compilation in FREE DOWNLOAD delle migliori realtà della scena underground italiana ed ancora tante novità, tutte da scoprire! Cosa aspetti? Sfoglia adesso la tua copia, è facile e soprattutto FREE!

martedì 9 ottobre 2012

COSMO: progetto solista di Marco (Drink to Me)

Marco Da qualche mese sta lavorando al primo disco da solista. Si tratta di un lavoro in italiano.
Ha appena deciso di rendere pubblico quello che i suoi amici già conoscono, ossia COSMO. Questo è infatti il nome del progetto.
Mentre il disco è in lavorazione e cerca di capire da quale etichetta uscirà, si diletto a rendere sue alcune canzoni italiane e a rivestirle con suoni molto simili a quelli che avrà il disco.
Il suo primo brano è una reinterpretazione di un pezzo di Battiato.
Aspetteremo con interesse gli altri.

Da Qui si può scaricare gratuitamente il brano.



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